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Fazzoletti

Aggiornamento: 11 lug 2023

Brescia

Tolgo la polvere da appunti che restano attuali

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Seta, cotone o carta. Scegli il tuo fazzoletto e ti dirò chi sei. Io, per esempio, sono stata uno di tutti. Ho usato fazzoletti di cotone, di carta (anche troppi e c’ho fatto i conti più tardi), e fortunatamente mai fazzoletti di seta. Nella vita siamo o siamo stati tutti il fazzoletto di qualcuno. Non saprei dire a chi vada meglio e a chi peggio; so per certo che se si è dotati di una coscienza, è una bella merda da entrambe le parti. Fortunati quelli che di coscienza non ne hanno, poiché come gli ignoranti, vivono felici.


Il fazzoletto di seta, per esempio, è bello, di facciata. Mai ti verrebbe di utilizzarlo per soffiartici il naso o asciugarti le lacrime. Lo tieni lì, in bella mostra, nel taschino della giacca. Fa corredo. Fa colore. Ma non si usa. Se ti prude il naso ne usi uno in cotone. Se hai il raffreddore fai andare pacchetti e pacchetti di fazzoletti in carta. Parti da una marca che conosci per finire su quelli del discount perché tanto “uno vale l’altro”. Ma nel frattempo, dalla tasca della giacca spunta sempre lui: il fazzoletto di seta. Come è uscito dal cassetto a inizio giornata, così ci rientra al calar della sera. Intonso.

Ha fatto il suo. S’è fatto vedere. Ha portato colore. E ora è di nuovo nel cassetto.


Il fazzoletto in cotone, è ben diverso. Anche se carino, non va in bella mostra; diciamo che più che altro va tenuto defilato nella tasca davanti.

Tu sai che c’è, che se ti dovesse servire è a portata di mano. Che sia per uno starnuto, per una lacrima o per una sonora soffiata di naso, mano in tasca e il fedelissimo sta lì.

Certo, gli va data attenzione. Bisogna “tenerlo da conto” come diceva nonna. Insomma, ogni tanto va curato. Un giro in lavatrice e per i più fortunati anche una stiratina; poi lo si piega con cura e lo si mette nel cassetto. Pronto per il prossimo giro di giostra.


Ma cascasse il cielo, quando il bisogno è impellente uno solo è il vero protagonista. Il fazzoletto di carta. Raffreddore, sbucciature, sporco, lacrime, pezzi di cibo, tutto, tutto passa da lui.

Andiamo di pacchetto in pacchetto senza cura, tanto alla fine si butta e via con il prossimo. Inutile salvavita.

Anche se scegliamo un pacchetto profumato, con i disegnino o super morbido, alla fine ci diremo: “ma ne vale la pena? Alla fine mi ci devo soffiare il naso!” E così si finisce lentamente sul pacchetto più economico, con meno sbattimenti, di quella marca che non esiste e della quale non ricordo il nome. Però ci serve. Ne abbiamo bisogno. È inutile ma indispensabile.


Non so quando abbiamo iniziato a trattarci come fazzoletti; so solo che ad un certo punto abbiamo iniziato a farlo.

I fazzoletti di carta sono diventate la botta e via per son pensare

I fazzoletti in cotone sono tutte quelle che ora definiamo “situationship” (perché dare un nome alle cose ci fa schifo, ma alla fine lo facciamo sempre)

I fazzoletti di seta sono rimaste quelle persone che ci servono da facciata. Vuoi che sia per il lavoro che fanno, per la bellezza dei loro involucri, per le conoscenze che hanno, non lo so. L’importante è che stiano lì a farmi sembrare ciò che non sono. Ma a trattare le persone come fazzoletti non abbiamo fatto i conti con un fattore importante, “la mia necessità non deve ferire l’altro”. E su questo abbiamo scelto bellamente di fare spallucce fottendocene altamente coprendo il tutto al grido di “ci penserò poi”.

E così sono nate le bugie, le manipolazioni (e cristo quante!), i rapporti d’occasione, e chi più ne ha più ne metta.

Pensavo che per smettere di usare fazzoletti, si dovesse vivere da fazzoletto. Diciamo che la mia è stata un’esperienza sul campo. Un inviato dal fronte. Ho usato e sono stata usata. Ripetutamente. In entrambe le fazioni. Se guardo alla mia esperienza, posso dire che sì, essere un fazzoletto mi è servito per non usarne più; e così credevo di aver portato punti alla mia tesi. Poi ho visto chi usava i fazzoletti, divenire uno di loro, per poi tornare ad essere quello dai cassetti pieni, le tasche colme e la bocca sempre piena di parole per ogni occasione.

Inevitabilmente mi chiedo cosa ci spinga ad essere così falsamente egoisti. Sì credo sia una falsità l’egoismo di queste situazioni, perché il momento in cui ci fermiamo a riflettere anche solo per mezzo secondo su come l’altro possa sentirsi lo abbiamo tutti; ed è lì che scatta o l’ennesima falsità, o l’interruttore sui sentimenti. È lì che facciamo danni. Chi ha a avuto a che fare con dei manipolatori lo sa, e al 99% ne incontrerà altri per ricascarci ancora. Non ti dicono mai la loro vera intenzione, non ti raccontando del loro passato e non sai nulla del loro presente. Inizialmente sono sempre lì, ascoltano ogni tuo discorso e assorbono come spugne; e tu pensi che sia finalmente una persona “sana e interessata”, poi appena ti giri stanno facendo la stessa cosa con il prossimo fazzoletto. Tu sei il loro fazzoletto di cotone.


Non posso pretendere che “chi nasce quadrato possa per forza morire tondo”; ma ho capito che se nasci fazzoletto di cotone non devi morire fazzoletto di cotone.

Loro non cambieranno. Io per tanti potrei non essere cambiata. Tutti i giorni mi prendo il mio sacchetto di colpe, consapevole di aver fatto del male a più di una persona. Posso tornare indietro? No. Posso porre rimedio al dolore causato? No. Posso scegliere di non procurarne altro? Sì. E così ho fatto. O per lo meno ci sto provando. Non promettendo cazzate e mettendo in chiaro le cose da subito, che parliamoci chiaro se uno vuole farsi una scopata, può serenamente dirlo all’altro e ci leviamo dal cazzo 3/4 di problemi. Scegliendo con più cura le persone con cui condividere il tempo, finanche a rimanere completamente sola.


È così. Sono sola.

Ho scelto di non farmi male, ma soprattutto di non fare del male.

Sarò sola per sempre? Non lo posso sapere

Mi farò male ancora? Molto probabilmente sì. Sono un disastro del Sagittario, è la mia natura dare per non ricevere. Farò male a qualcuno? Non posso escluderlo. Di certo so che ci sto molto più attenta girando a largo dalle situazioni complesse o chiudendomi nei miei stati di solitudine eremitica.


Non penso d’aver trovato una soluzione definitiva, credo più che altro che sia un work in progress nella romantica speranza che questo ammasso di carta scotchata possa avere senso per qualcuno (e in quel qualcuno ci metto pure me)


“Chi vivrà, vedrà” diceva quello


Le parole chiave restano le stesse: CONSAPEVOLEZZA e RISPETTO

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