Capitolo 1: Nella Tana del Coniglio
- Non quella Alice
- 26 lug 2021
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 28 lug 2021
Capitolo 1
-Nella Tana del Coniglio-
Parte 2
26 Luglio - Brescia/Wonderland

Questa parte sarà un po’ più lunghetta… io v’ho avvisati.
Com’era? “Chi ben inizia è a metà dell’opera”, giusto?
Vediamo di portare a termine almeno questo primo capitolo, che altrimenti da brava procrastinatrice mollo tutto per l’ennesima volta.
Avevamo lasciato “Quella Alice” in un trip sulla Nuova Zelanda, mentre continuava a cadere giù per il pozzo…
Sappiamo tutti che la caduta ha una fine; infatti la nostra amichetta atterra apoggiando le reali terga su un mucchio di rami e foglie. Atterraggio morbido? Non credo, ma hei! potevano essere pali di frassino appuntiti e sarebbe finito tutto. Ma questo non è Bram Stoker, e Carroll ha appena iniziato con noi.
“… Alice non si era fatta alcun male, e in un attimo fu in piedi; guardò in alto, ma sopra era tutto buio; davanti aveva un altro lungo cunicolo, in fondo al quale era ancora visibile il Coniglio Bianco che correva. Non c’era un momento da perdere; Alice partì come il vento…”
Potrebbe sembrare un passaggio inutile quello che vi ho appena riportato; potrebbe… forse lo è davvero, eppure credo mi partirà un pippone prepotente ricco d’autoanalisi. Perciò amicici, se siete qui, mettetevi comodi che sto per regalarvi/mi una grande verità. Come dico ogni volta che butto giù un pezzo dei miei muri: “Facciamo due minuti di sincerità vera?”.
(Daje Alì, respira e scrivi sta cosa!)
Faccio un passo indietro… (e anche sto giro è solo per prendere la rincorsa)
“Quella Alice” un attimo fa stava ruzzolando giù per il pozzo come una pera cotta, completamente in balia degli eventi, in bilico tra il “morirò male” e il “minchia chissà se sbuco in Nuova Zelanda”. Ora che finalmente ha finito di cadere, ora che finalmente potrebbe fermarsi, guardarsi intorno, respirare e concedersi del tempo per metabolizzare cosa le è appena successo: ecco che riparte a missile dietro un puntino bianco saltellante.
Lo sentite anche voi Giacomino ne “I Corti” che grida un meraviglioso: “Allora sei deficiente. Dillo: sono deficiente.”
Sì Giacomino, sì… siamo deficienti.
Alice… cara mia collega del disagio; cosa cavolo avremo di sbagliato io e te non lo capirò mai fino in fondo. Se mi fermassi qui sarebbe tutto più semplice, vero? Prendereste per buona questa frase e vi lascerei come pensiero intrinseco un
“Non sa nemmeno lei cosa la spinge a comportarsi così”, ma ve l’ho detto: questo è il paragrafo del pippone d’autoanalisi.
Ne abbiamo già "parlato" la scorsa volta, io come “Quella Alice” mi butto; mi butto, ci sbatto la testa (o le chiappe in questo caso), mi tiro insieme in qualche modo, e poi riparto da capo. Recidiva. Recidiva fino al midollo.
E quando sei così, quando continui imperterrita a buttarti nel vuoto a rincorrere qualcosa che nemmeno tu sai dove ti porterà o perchè lo stai facendo, quand’è così: arrivi ad un certo punto in cui per forza, anche se non lo vuoi, anche se non ti fermi e continui nella tua missione potenzialmente suicida, ecco che la domanda t’arriva fra capa e collo…
“Alice… perchè lo fai? Perché lo stai facendo? Perchè non ti fermi?” (che fatica…)
Perchè…
Perchè di base ci hanno insegnato a non mollare, ad essere forti; ed in principio era così. Sbattevamo la testa; finivamo culo a terra, ma dovevamo “essere forti e non mollare”. Quindi ti rialzi. Una, due, tre volte. Poi qualcosa si rompe. Inizi a pensare che non vale la pena alzarsi, che andrà di nuovo tutto male; che in fondo va sempre così, perciò: “Non vale nemmeno la pena provare, giusto?”.
SBAGLIATO.
Sbagliato! grida l’altra voce in fondo al cervello.
-Tu ora ti alzi e riparti a tuono, vada come vada.
-Sì, però potresti selezionare missioni non suicida; cioè: se senti che stai per fare una potenziale cazzata, perchè la fai? Perchè non ti fermi?
(ecco i veri “due minuti di sincerità vera")
Il “perchè” è maledettamente semplice come conclusione, fottutamente difficile da ammettere e tremendamente complicato cambiarlo. (respira…) Perchè in fondo alla tana, dentro quel cervello bacato che mi ritrovo, per qualche strano motivo penso di non meritare un lieto fine. (nero su bianco così spezza un po’ le ginocchia)
Quando ti abitui a certe dinamiche, alle cose che “non vanno”; quando ti abitui ad essere un giocattolo rotto, o semplicemente il cespuglio della scenografia e non l’attore principale; tutto fa paura. Non è che non lo vuoi: tu lo vorresti da Dio sto benedetto lieto fine, vorresti essere il protagonista e non un pezzo di compensato della scenografia; ma hai paura.
Hai paura di tutto quello che è nuovo, perchè alla merda della tua routine, ormai ci sei abituata, la sai gestire, male, ma la sai gestire; continui a farlo... da anni.
A volte ti stupisci e pensi che peggio di così non puoi di certo combinare; e poi la volta dopo ci sei di nuovo dentro fino al collo; ma è il tuo cerchio, il tuo cane che si morde la coda e ormai... ci sei abituata.
Vuoi il lieto fine; ma quando vedi che le cose stanno andando bene, quando vedi la strada bianca che ti porta alla spiaggia caraibica piena di gioia e cazzi vari, pensi solo che non può essere vero, che dietro ad un cespuglio ci sarà sicuramente un serial killer armato di mannaia pronto a sgozzarti appena tiri il primo respiro di sollievo.
Non importa che la spiaggia sia deserta, non importa se non c’è stato mezzo campanello d’allarme, non importa nulla: sei un’ auto-sabotatrice di merda e devi mandare tutto all’aria. Sceglierai la solita strada buia e piena di rovi, perchè quelle ferite le sai curare; i colpi di mannaia (che nessuno vuole darti) no.
Vuoi essere il protagonista della storia; ma quando qualcuno ti mette al centro dell’attenzione, ti lanci contro il muro per tenere spalle e schiena al coperto, perchè “vorrà sicuramente pugnalarmi appena mi disrtraggo”; e così finisci di nuovo a far parte della scenografia. Auto-sabotaggio. Finché qualcosa non si romperà, finché non troverò la forza (o la motivazione) giusta; oppure finché disgraziatamente (non lo credo davvero, il “disgraziatamente” intendo) qualcuno non si metterà di traverso. “Interrompete il gioco!” cit.
Beh! Mica male per un passaggio che doveva essere di poco conto…
(Frase semi ironica per spezzare il momento “mi tremano le mani e ho tutto attorcigliato")
In questo primo capitolo mi sono presa a schiaffi più volte; ma prima di andare avanti vi lascio altri passaggi che mi riportavano comunque al pippone d’autoanalisi. Insomma, eccone altri: (sono tanti e lascio a voi le riflessioni/collegamenti)
Quella Alice, trova dietro ad una tenda una porta che non aveva visto; porta microscopica che si apre con una chiave che trova su un tavolino… quando la apre vede “il più bel giardino che avesse mai visto”.
“…Come le sarebbe piaciuto uscire da quel vestibolo buio e andare fra quelle aiuole di fiori vivaci e quelle fontane d’acqua fresca! Ma non riuscì a infilare nella porta nemmeno la testa…”
“«…Se potessi richiudermi come un cannocchiale! Credo che ci riuscirei, se sapessi come cominciare.» Perchè, capite, ultimamente erano successe tante di quelle cose strane che Alice aveva cominciato a credere che di impossibile non ci fosse quasi più nulla…”
Ora il problema della nostra “Quella Alice”, è che è troppo grande per passare dalla porta. Siamo al momento del “Drink me”. Sono abbastanza convinta che se fosse stata tequila l’avrebbe buttata giù anche lei senza farsi troppe domande, invece… sta per farci volare altissimo con un ragionamento che mi fa scassare.
“…Si fa presto a dire «bevimi», ma la saggia piccola Alice non vuole va farlo alla leggera. «No, prima guardo» disse «per vedere se c’è scritto veleno o no»…”
“…Non aveva mai dimenticato che se bevi troppo del contenuto di una bottiglia contrassegnata veleno, è quasi certo che prima o poi te ne pentirai.”
E poi alla fine che fa? Se la tracanna. D’altronde è risaputo che se vogliono avvelenarti, prima t’avvisano…
Ma vogliamo fermarci qui? NO, questa volta no. (anche perchè 3 parti per un capitolo da 5 pagine Alì, me pare troppo)
Quindi: ora ci ritroviamo con “Quella Alice” formato microbo, che essendo un ruttino di Dio anche lei, ha lasciato la chiave sul tavolo, tavolo che ora è troppo alto per poterla raggiungere.
Si arrampica una, due, tre volte (vi dice nulla?) ma niente da fare. Arriva il momento disperazione e proprio in quel momento ci regala un’altra perla:
(dritta sui denti, as usual)
“«…Su, non serve a niente piangere così!» si disse Alice, in tono un po’ secco. «Ti consiglio di smetterla immediatamente!» In genere si dava degli ottimi consigli (benché poi li seguisse molto di rado), e qualche volta si sgridava con tanta severità da farsi venire le lacrime agli occhi; e una volta si ricordò di aver cercato di prendersi a scapaccioni perchè aveva barato a una partita di croquet che disputava contro se stessa. Questa curiosa bambina amava molto fingere di essere due persone diverse. «Ma ora è inutile fare finta di essere due persone! Con quello che mi rimane non c’è nemmeno di che fare una sola persona degna di questo nome!» …”
Morbida vero?!
Vi giuro che non so da che parte iniziare; se da quel “In genere si dava degli ottimi consigli (benché poi li seguisse molto di rado)” o dal “Questa curiosa bambina amava molto fingere di essere due persone diverse.”
Fatto sta che anche questa volta Questa e Quella Alice vanno a braccetto. Di consigli buoni (resto umile) me ne do anche parecchi, ma se tornate su, c’è la risposta al perchè li seguo di rado. (Auto-sabotaggio baby.)
Prima o poi imparerò, cambierò e bla bla bla…
(ho smesso di crederci mentre scrivevo “cambierò”)
Per quanto riguarda, invece, l’essere due persone, scendo un un attimo nel dettaglio. (prima che vi immaginiate una scena alla Dr. Jekyll and Mr Hyde).
Per quanto mi riguarda, anche se in fondo so che fra di voi troverò parecchi colleghi, fingo tutti i giorni d’essere due persone. Che poi in realtà non so se sia giusto dire “fingere”; in fondo: io sono due persone. Sono quella che voglio farvi vedere, quella che scelgo di farvi vedere; e sono anche quella che tengo nascosta, quella che proteggo come se fosse un cucciolo di panda. Fingo tutti i giorni; tanto, che non mi sembra nemmeno più di fingere. Io SONO due persone. Sono quella con l’armatura, i muri alzati, quella senza sentimenti. Sono quella pronta ad aiutare gli altri sacrificando pezzi di se stessa. Sono quella che ha una paura fottuta di abbattere i muri, di farsi voler bene, di aprirsi a chi magari non è pronto, non ha voglia o forse ha gli stessi timori. Sono quella che scappa, si guarda indietro e rimpiange. Sono quella che si “prende a ceffoni” perchè: “Ci sei cascata di nuovo. Avevi detto che questa volta saresti stata attenta!”.
Altro che due persone, altro che "barare a croquet."
Qui siamo un esercito di "Alici", un banco di pesci nella stessa pozzanghera. Eppure, esattamente come i pesci piccoli, al bisogno, siamo unite in un’unica forma; un po’ per spaventare i predatori, un po’ per sopravvivere; perchè, in fondo, si sa: insieme si va avanti meglio. (o almeno credo)
Fatto sta che io, sono tutte le Alici dell’elenco.
Tutte Queste e pure qualche pezzettino in più.
Ma torniamo a “Quella Alice”, per l’ultimo pezzetto di questo capitolo. Arriviamo al “MANGIAMI”. Ricapitoliamo: “Bevimi” e diventa piccola, si dimentica la chiave e spunta un pasticcino che dice “Mangiami”. Socia che facciamo? Ci fermiamo con le cazzate?
“«…In un modo o nell’altro riuscirò ad entrare nel giardino, perciò non mi importa di quel che potrà accadere»…”
Non fa una piega, no? Ma state fermi lì che ne arriva un’altra…
“…Alice si era già talmente abituata ad aspettarsi solo avvenimenti fuori dal comune, che le pareva noioso e banale da parte della vita procedere nel modo consueto…”
Vi ricorda qualcosa, per caso?!
...
Ciurma! Miracolosamente ho finito il primo capitolo. Ne esco decisamente confusa, ma in qualche modo soddisfatta.
(Citare Carmen Consoli con “Confusa e felice” mi pare un po’ troppo)
Quasi non ci credo: Il primo capitolo ha ufficialmente una fine. Vado a respirare.
(Se sei arrivato fin qui scrivimi che te lo mando con Glovo lo shottino, ovunque tu sia.)
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